Ultimamente sento parlare spesso di empatia, intesa come la capacità di mettersi nei panni dell’altro, con sguardo ed orecchi privi di pre-giudizio. Entrare in empatia con un’altra persona vuol dire calarsi nel suo stato d’animo e nel suo modo di percepire il mondo, come se fossimo quella persona.
L’empatia è sicuramente una capacità importantissima, perché ci permette di instaurare e mantenere buone relazioni con gli altri, di entrare veramente in connessione con un’altra persona, di gestire positivamente la nostra rabbia ed i conflitti.
Ma spesso si dimentica che è fondamentale utilizzare questa preziosa capacità anche, o in primis, con noi stessi. Anche perché se non lo siamo (empatici) con noi, è difficile esserlo con gli altri.
Invece capita sovente che le persone abbiano la tendenza ad essere molto critiche con se stesse, vedendosi come oggetti pieni di difetti, invece che come esseri umani fallibili, finendo con l’essere troppo duri e a volte perfino violenti con se stessi. E questo porta solo ad odiarsi, invece di valutare gli eventi e le situazioni in modi che permettano di imparare da essi, crescere e di fare scelte che siano d’aiuto per arricchire la nostra vita.
Te come ti tratti?
Quando hai fatto qualcosa che desidereresti non aver fatto, qualcosa che consideri “uno sbaglio” o “un errore”, ti capita sovente di dire a te stesso o pensare: “che idiozia che ho fatto!”, “come ho potuto fare una cosa del genere?!”, “che cosa c’è che non va in me?!”, “sbaglio sempre!”, “faccio sempre pasticci!”.
Se la tua risposta è affermativa, non ti preoccupare, sei in buona compagnia. La maggior parte di noi è stata educata a giudicare se stessa come “giusto-sbagliato” oppure “buono-cattivo”.
Questo auto-ammonirci sotto-intende però che pensiamo di meritarci di star male, di essere puniti, per quello che abbiamo fatto. E questo porta solamente in una direzione: nelle sabbie-mobili dell’odio verso se stessi. Mentre sarebbe importante poter imparare veramente dagli errori, che inevitabilmente commettiamo, per crescere e cambiare. Un cambiamento, però, genuino e non motivato dalla vergogna o dal senso di colpa e, quindi, dall’odio verso se stessi.
Infatti quando facciamo qualcosa spinti dalla vergogna o dal senso di colpa non sentiamo di aver scelto di farlo liberamente e non siamo quindi veramente felici di farlo.
Ti capita spesso di usare il verbo “dovere”?
Il verbo “dovere” è una parola che ha il potere di creare vergogna e senso di colpa, perché quando lo usiamo, ad esempio dicendo “avrei dovuto saperlo” o “non avrei dovuto fare questo”, intendiamo dire che non abbiamo scelta.
I “devo” o i “dovrei” ti portano, quindi, a fare le cose senza gioia, spinto da un’energia negativa, oppure a non farle affatto, perchè di fronte agli obblighi, alle costrizioni e alle pretese la nostra tendenza è quella di opporvi resistenza. E tutto questo non ti permette di imparare, di cambiare, di crescere e quindi di essere soddisfatto e felice.
Se comunichi con te stesso utilizzando regolarmente giudizi, pretese e attribuzioni di colpa, non ti deve infatti sorprendere che finisci per sentirti infelice e insoddisfatto.
Se ti giudichi “cattivo” o “sbagliato” quello che stai in realtà dicendo è che non ti stai comportando in armonia con i tuoi bisogni, ma li stai frustrando.
Impara a tradurre i giudizi su te stesso in termini di bisogni da soddisfare
Se vuoi arricchire la tua vita ed imparare veramente dalle valutazioni che fai su te stesso, è fondamentale che inizi a misurarle in base al rispetto dei tuoi bisogni, ad esempio, chiedendoti:
– sto andando nella direzione in cui voglio andare?
– la mia spinta al cambiamento è motivata dal senso di colpa e dalla vergogna o dal rispetto e dall’empatia verso me stesso?
Quello che devi fare è quindi è imparare ad identificare quali bisogni insoddisfatti sono nascosti dietro ai giudizi che esprimi su te stesso, domandandoti: “quale bisogno non soddisfatto sto esprimendo con questo giudizio moralistico?”.
Concentrarti sul tuo bisogno ti permetterà, infatti, di smettere di rimproverarti e di provare vergogna o senso di colpa o rabbia, e ti spingerà ad esplorare le possibilità che hai di soddisfare quel bisogno e ad agire con la voglia di farlo e con il desiderio genuino di contribuire al benessere tuo e altrui, senza provare odio per te stesso.
Viceversa, se continui soltanto a darti la colpa e ad esprimere giudizi moralistici su te stesso, finisci solo per perpetuare uno stato di auto-punizione, che non ti porta da nessuna parte, se non a stare male.
Sii empatico con te stesso
Quando fai degli sbagli, per evitare di rimanere intrappolato dai tuoi giudizi moralistici su te stesso, quello che puoi fare è essere empatico con te stesso.
Essere capaci di provare empatia per noi stessi vuol dire:
– entrare in contatto con il dispiacere per quello che abbiamo fatto o detto;
– entrare in contatto con il bisogno che ci ha portato a dire o fare quella cosa.
Per prima cosa, quindi, entra in contatto ed accogli i sentimenti ed i bisogni del momento, il dispiacere per il risultato delle tue azioni.
Fatto questo, concentrati sull’individuare il bisogno che ti ha portato a fare quello che hai fatto, domandandoti: “quando mi sono comportato nel modo cui ora mi dispiaccio, quale mio bisogno stavo cercando di soddisfare?”.
Ricorda: agiamo sempre con l’obiettivo di soddisfare un nostro bisogno o un valore, sia che l’azione che compiamo soddisfi tale bisogno o meno, sia che finiamo per gioirne o per esserne dispiaciuti.
Ora che hai individuato il bisogno che ti ha mosso, che hai capito che la tua scelta è stato solo un tentativo, non andato a buon fine, per soddisfarlo, sei pronto per perdonarti.
Il perdono, infatti, si ha quando ascoltiamo noi stessi con empatia.
Un esercizio per accrescere l’empatia verso te stesso
- Scrivi su un foglio tutte le cose che “devi” fare, cioè quelle cose che non ti piace fare “ma che fai lo stesso perché ti sembra di non avere scelta”. Se hai elencato molte cose, allora ti sarà facile immaginarti perché spesso hai la sensazione di non essere soddisfatto della tua vita.
- Traduci i “devo” elencati in “scelgo”: riprendi la penna e il foglio dove avevi scritto il tuo elenco delle cose che non ti piacciono ma che “devi” fare e prima di ognuna di essa scrivi “scelgo di …”.
- Ora che ti sei detto, anzi scritto, che scegli di fare una determinata cosa, mettiti in contatto con l’intenzione dietro la tua scelta, completando la frase: “scelgo di … perché voglio …”.
Dietro ogni scelta che facciamo, si nasconde un bisogno da soddisfare. Dopo il terzo step dell’esercizio, quindi, dovresti avere più chiaro quale è il bisogno dietro la tua scelta e puoi quindi decidere con maggiore consapevolezza, e quindi anche con un altro spirito, se continuare a fare quella cosa o, invece, se è meglio per te smettere di farla e fare altro per soddisfare quel bisogno.
N.B.
Se ti rendi conto che dietro i tuoi comportamenti ci sono motivazioni quali l’approvazione, il senso di colpa, l’evitare la vergogna o, peggio, un generico senso del dovere, allora fermati e riprova a connetterti con i tuoi bisogni, perché sei “pericolosamente” scollegato dal tuo mondo interiore.
Infatti:
– l’approvazione è un tipo di riconoscimento esteriore, alla quale veniamo educati fin da bambini, per poi ritrovarci da adulti a credere che la vita consista nel fare cose in cambio di riconoscimenti, divenendo dipendenti dal ricevere dagli altri un riconoscimento per essere “un bravo genitore”, “un buon cittadino”, “un gran lavoratore”, “una buona persona”, ecc., spesso rinunciando a noi stessi.
– Se a volte ti capita di pensare “se non faccio questo, gli altri saranno delusi da me”, allora vuol dire che quello che ti sta motivando è il senso di colpa, la paura di deludere le aspettative che gli altri hanno di te. E quando si fa qualcosa per evitare il senso di colpa, la si fa con sentimenti negativi, di disappunto. Mentre se quello che ci motiva a fare qualcosa è il bisogno di contribuire alla felicità degli altri, allora le nostre azioni saranno accompagnate da sentimenti di gioia nel fare quella determinata azione. E c’è una bella differenza.
– Se facciamo qualcosa soltanto per evitare la vergogna, finiremo per detestarla.
– Se spesso ti capita di dire “dovrei”, “mi tocca”, “non posso”, “ci si aspetta che” e così via, cioè di utilizzare un linguaggio che nega la scelta, allora vuol dire che sei “pericolosamente” scollegato dai tuoi bisogni, dal tuo mondo interiore. È “pericoloso” perché potresti ritrovarti a fare delle cose solamente perché “ci si aspetta” che tu le faccia. Agendo come un robot, finisci così per rinunciare alla vita che c’è in te.
Se ti accorgi che non è facile per te entrare in contatto con i tuoi bisogni e il tuo mondo interiore e senti di aver bisogno di un aiuto, rivolgiti ad un professionista, psicologo-psicoterapeuta, in grado di accompagnarti e sostenerti in questo percorso.
Per approfondire
Le parole sono finestre oppure muri, di M.B. Rosenberg, ed. Esserci