Quando parliamo di resilienza, in ambito psicologico, facciamo riferimento alla capacità di una persona di affrontare, adattarsi, superare in maniera positiva un evento negativo, stressante e/o traumatico.

Essere resilienti non vuol dire ignorare o evitare i problemi e non sperimentare affatto le difficoltà o gli stress della vita,  ma al contrario, significa saper reagire, saper andare avanti nonostante le circostanze avverse senza farsi sopraffare da queste.

Essere resilienti vuol dire saper trasformare i problemi in sfide, cioè vedere l’evento negativo anche come una fonte di apprendimento per acquisire competenze utili per migliorare la propria vita, mettendo in atto strategie di coping efficaci.

Cosa è il coping?

Negli anni ’80 gli psicologi Lazarus e Folkman definiscono il concetto di coping come “l’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali, in continuo mutamento, che l’individuo compie al fine di gestire situazioni che egli considera potenzialmente lesive o logoranti”.

Il “coping” è la risposta che si adotta per far fronte ad eventi che vengono percepiti come problemi. Le strategie di coping mutano con il mutare delle situazioni e comprendono risposte di tipo comportamentale, emozionale e cognitivo.

I Coper efficaci reagiscono alle sfide della vita prendendosi la responsabilità di trovare una soluzione ai propri problemi. Affrontano i problemi con un senso di competenza e di padronanza. Il loro obiettivo è valutare la situazione, ottenere consigli e sostegno dagli altri ed elaborare un piano di azione il più vantaggioso possibile per se stessi. Vedono le sfide della vita come occasioni per la crescita personale e tentano di affrontarle con speranza, pazienza e senso dell’umorismo.

I Coper inefficaci reagiscono alle sfide della vita negandole o eludendole. Si ritraggono dinanzi ai problemi oppure reagiscono impulsivamente senza darsi il tempo e senza sforzarsi di cercare la soluzione migliore. Sono adirati e aggressivi oppure depressi o passivi. Colpevolizzano se stessi o gli altri per i propri problemi e non apprezzano il valore del saper affrontare le sfide della vita con speranza, maestria e controllo personale.

Tutte le strategie che si possono utilizzare per far fronte ad una situazione problematica vengono distinte da Lazarus e Folkman essenzialmente in due modalità di coping:

il coping centrato sul problema: comporta il tentativo di comprendere e definire il problema e di affrontarlo direttamente fronteggiando la crisi, elaborando possibili soluzioni, di natura comportamentale o mentale;

il coping centrato sull’emozione: si orienta verso la gestione della tensione emozionale e può avvalersi dell’esercizio fisico, della meditazione, dell’espressione delle emozioni e della ricerca di sostegno.

Come si sceglie quale tipo di strategia utilizzare per affrontare l’evento stressante?

 Le strategie di coping che una persona mette in atto sono una conseguenza del processo di valutazione (appraisal) dell’evento stressante.

In linea generale, se si valuta che la situazione può essere cambiata, allora molto probabilmente si metteranno in atto strategie centrate sul problema, mentre se si valuta che la situazione non è modificabile, allora è più probabile che metteremo in atto strategie centrate sull’emozione.

Nel 1984 lo psicologo Richard Lazarus mise in evidenza che tra gli stressors, cioè i fattori stressanti, e le conseguenze dello stress non c’è una relazione diretta, ma ci sono delle variabili di modulazione legate alla valutazione della situazione. Detto più semplicemente: è la valutazione della situazione e non la situazione in sé a causare lo stress.

Lazarus pose l’attenzione sulla dimensione soggettiva dello stress: la reazione da stress non è una risposta lineare perché entrano in gioco variabili soggettive che mediano gli effetti degli eventi ambientali sulla salute. Le persone infatti non sperimentano lo stesso grado di stress alle medesime condizioni.

Per Lazarus lo stress si produce quando tra variabili ambientali e variabili individuali si produce un eccesso che mette alla prova le risorse adattive dell’individuo.

È la nostra valutazione a determinare quanto un semplice evento diventi o meno uno stressore, quanto un evento sia degno di nota, pericoloso o potenzialmente minaccioso e nocivo o meno.

Lazarus si riferisce a questo processo di valutazione con il termine “appraisal” e distingue tra:

Primary Appraisal: la valutazione in cui il soggetto attribuisce all’ambiente un potenziale valore di minaccia o sfida;

Secondary Appraisal: il soggetto valuta le risorse di cui dispone per gestire il danno potenziale.

Quali sono i fattori psicologici che influenzano la risposta resiliente di un individuo?

Come detto precedentemente, le persone resilienti di fronte ai problemi e agli eventi stressanti e/o traumatici non si arrendono, ma hanno la capacità di affrontarli ed andare avanti.

Potenzialmente siamo tutti resilienti, cioè i meccanismi della resilienza sono presenti in ognuno di noi e chiunque può metterli in atto. Tuttavia, non tutte le persone riescono a farlo, poiché la capacità di mettere in pratica la resilienza è diversa da persona a persona ed entrano in gioco le differenze individuali.

Ed è per questo che, ad esempio, di fronte ad un trauma o ad un forte stress alcune persone ne escono senza riportare effetti negativi a lungo termine, oppure rafforzate, mentre altre rimangono “schiacciate” sotto la pressione esercitata dall’evento traumatico, arrivando anche a sviluppare vere e proprie psicopatologie.

Questo dipende da alcuni fattori psicologici che influenzano la risposta più o meno resiliente di una persona, che sono:

L’autostima. Riguarda il modo in cui ci si valuta, l’entità della stima che ci si attribuisce.

Influisce sugli atteggiamenti, sulle aspettative, sulle decisioni e sulle prestazioni delle persone. Chi ha un’alta autostima tenderà a percepire le situazioni meno stressanti e nocive (e quindi tenderà a mettere in atto strategie per affrontarle e superarle) poiché valuterà di avere le risorse per poterle affrontare, viceversa chi ha una bassa stima di sé tenderà a valutare di non avere le risorse per affrontare la situazione problematica e quindi la percepirà come eccessivamente nociva o difficile (se non impossibile) da affrontare e quindi tenderà a non farlo e conseguentemente sviluppare un vissuto negativo e/o logorante.

– Il Locus of control: cioè la percezione del controllo degli eventi. Si ha locus of control interno quando il soggetto ritiene che le cause degli eventi risiedono in se stessi, quando si percepiscono come responsabili degli eventi, come in grado di poter controllare gli eventi, cioè di poter agire per modificare una situazione o per adattarcisi; si ha invece locus of control esterno: le cause degli eventi sono all’esterno, cioè quando ci si sente dominati dagli eventi, in balia degli eventi, vittime degli eventi, quando ci si aspetta una soluzione dall’esterno invece che prendercene carico in prima persona.

La hardiness: “un insieme di atteggiamenti e di abilità che migliorano le prestazioni, l’autorevolezza, il morale, la tempra e la salute nonostante la presenza di condizioni avverse”.

Le persone “hardy” sono in grado di superare i cambiamenti anziché esserne sopraffatte.

La Hardiness è costituita da tre componenti:

– impegno: atteggiamento caratterizzato dal desiderio di conoscere e la tendenza al coinvolgimento;

– controllo: la certezza che è possibile incidere sugli eventi e la volontà di agire secondo questa convinzione piuttosto che sentirsi vittime delle circostanze (l’opposto del sentirsi impotenti);

– sfida: la certezza che le sfide della vita stimolano la crescita personale, che la vita è più appagante quando si continua ad imparare dalle proprie esperienze, positive o negative che siano (il contrario di vivere il cambiamento come una minaccia allo status quo).

Queste tre componenti della hardiness permettono di reagire agli eventi stressanti accrescendo la propria interazione con essi, cioè esplorandoli, verificandoli e imparando da essi, anziché regredire in atteggiamenti passivi e impotenti.

L’ottimismo, cioè la disposizione a cogliere il lato buono delle cose. Il soggetto ottimista considera i problemi come una parte inevitabile e ineliminabile della vita, però, a differenza del pessimista, interpreta le difficoltà come transitorie e non pervasive a tutti gli ambiti di vita. Questo gli consente di mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi, che considera come non unicamente dipendenti dalla sua responsabilità, ma come il risultato di più variabili, alcune delle quali fuori dal suo controllo.

La resilienza si può apprendere?

La resilienza è una capacità che può essere appresa, migliorata e sviluppata da ogni persona. Non è un tratto stabile e immodificabile della nostra personalità.

Come abbiamo visto, la resilienza è una capacità strettamente influenzata dalla concezione che le persone hanno di sé stesse e del mondo. Ad esempio, se si ha una scarsa considerazione di noi stessi (“sono un incapace”), e/o del mondo (“il mondo è imprevedibile e pericoloso, gli altri sono più forti di me”), allora molto probabilmente avremo una bassa capacità di resilienza.

Per sviluppare e migliorare la resilienza è quindi indispensabile cambiare la concezione che si ha di noi stessi e del mondo. Occorre modificare il modo con cui ci valutiamo e con cui valutiamo gli eventi che ci capitano, in modo da percepirci capaci di incidere sulla situazione.

Questo significa sviluppare un atteggiamento realistico e funzionale che ci consenta di adattarci consapevolmente alla realtà, così da non percepire gli eventi negativi che ci capitano come minacce impossibili da fronteggiare, ma come eventi, sicuramente spiacevoli e difficili da affrontare, ma potenzialmente superabili e dai quali trarre apprendimenti e spunti utili per migliorare noi stessi e la nostra vita.

 

Per approfondimenti:

Stress e disturbi da somatizzazione, di Comapare A., Grossi E., ed. Springer.

La promozione della salute, di Zucconi A., Howell P., ed. La Meridiana.

Lo stress, di Farne’ M., ed. Il Mulino.